Torna alla Homepage Biografia Image Gallery Email

Aforismi?
Frasi?
Mantra?
Pensieri che accompagnano nella vita.


A Pieve di Cento, Ferrara presso il Museo magi900 dal 7 Febbraio all'8 Marzo 2009.

Hanno scritto:
Giulio Bargellini
Vittoria Coen
Bruno Bandini e Marcello Landi


Giulio Bargellini
Ho conosciuto Elisabetta Mazzotti circa due anni fa, in occasione della mostra che fu organizzata qui al Magi ‘900 di Tramonti.
Mi hanno colpito la sua spontaneità e la sua energia, e sono felice di questa sua personale al Museo.
Nato come museo delle generazioni, il Magi, infatti, oggi affronta anche tematiche legate alle più recenti ricerche e riflessioni, e questa rappresenta una bella occasione per dimostrarlo.
Anche un’istituzione privata deve poter esprimere le istanze più diverse, al di là degli imperativi stilistici e di poetiche consolidate dal tempo. La ricerca più vicina a noi esprime le istanze e gli interrogativi legati ad oggi, in un mondo sempre più complesso e articolato.

Giulio Bargellini




Elisabetta Mazzotti
di Vittoria Coen

Credo che una spregiudicata curiosità sia la spinta primaria nel lavoro di Elisabetta Mazzotti.
La frase ricamata da Alighiero Boetti in una sua opera e citata dall’artista, “le cose nascono per caso o per necessità”, il ben noto binomio così pertinente e così attuale, specialmente nei nostri tempi incerti e agitati, facilita la comprensione della sua poetica.
Intanto collegare il trovare al cercare, vecchio tormento per gli artisti, abbatte barriere e pregiudizi, comunica un grande senso di libertà.
Vivere in frontiera, una frontiera particolare, naturalmente evoca subito il soggetto del guerriero, che ha bisogno di armature, di protezioni, fisiche e simboliche, maglie di metallo e tatuaggi sul corpo, ed ecco il drago, che appare soprattutto nei lavori meno recenti, simbolo inquietante di forza e icona orientale per definizione.
Tra la soavità di Madonne medioevali e rinascimentali, e il cinico messaggio di Andy Warhol, si muove il mondo di Elisabetta Mazzotti, interprete del nostro tempo.
Come ancorare alla memoria sentimenti, sensazioni, inclinazioni, pulsioni, la memoria storica stessa ereditata attraverso la cultura, una cooptazione stretta del materiale e dell’immaginario, cioè della vita e dell’espressione artistica, è l’operazione che nella freschezza delle emozioni personali e nella cura del proprio patrimonio culturale Elisabetta Mazzotti compie.

E’ un lavoro artistico da professionista e un attento impegno di controllo, di rispetto, di limatura, un tipo di testimonianza che, anche senza presunzioni di immortalità, vuole farsi coscienza del tempo, che è insieme tempo definito, esterno, e interno, in ogni caso vissuto. Tutto va in questa direzione, compresi gli strumenti tecnici (i glitter), i riferimenti (i tatuaggi e i ricami), quello che con facile approssimazione chiamano sacro e profano, fino alle Madonne dellarobbiane e alle geometrie cromatiche di Rothko.
Niente preclusioni, dunque. C’è posto anche per Warhol, e come potrebbe non esserci? Questa franchezza giovanile, di chi non si lascia imprigionare, è una sorta di sfida, che l’armatura del guerriero non intende esasperare certo, ma che si riferisce sempre ad una forma di resistenza ad ostacoli che non mancano mai, filo spinato sottilmente ma chiaramente minaccioso, anche se bellamente estetico.
A questa resistenza si accompagna, credo, una certa propensione femminile al proteggere, non so esattamente quali aree specifiche, ma in ogni caso, una casa aperta agli ospiti e nello stesso tempo saldamente fondata su un proprio humus ben lavorato, che non si sottrae al riconoscimento di autentici “segni particolari”.
Il tatuaggio, che l’artista ama e al quale si confida, è così una sorta di mascheramento e di disvelamento al tempo stesso. Perché al tatuaggio, che è una lettura sulla propria pelle, si accompagna un lungo, fedele amore per la protagonista di tutto il nostro mondo, la lettera dell’alfabeto.
In tedesco si chiama buchstabe, cioè asta, bastone, di libro. Nel termine doppio, come appare in questa lingua, sono già indicati una funzione pratica, un destino tutt’altro che umile, di capostipite, artefice, protagonista, una sorgente illimitata.
La lettera entra in scena con la pienezza dei suoi significati. Lettera, bell’ornato, un’astrazione che parla. E’ qui il prodotto di una riflessione e di un bisogno di confidarsi, un documento di sé, dunque. La cura amorosa di ogni dettaglio delle linee, dei colori a volte tenui a volte forti, ma sempre pertinenti con discrezione all’atmosfera dell’insieme, tutto qui vuole essere osservato e letto.
Le tracce non sono maliziosamente nascoste nell’indecifrabilità di segni magici che parlano soltanto agli iniziati. Incorniciando le lettere, aureolandole, l’artista gioca un po’ sull’accuratezza quasi didattica del campionario, quello che si chiamava una volta “imparaticcio” a cui bambine e giovinette dedicavano in passato tanto del loro tempo, esercizio, acquisizione di abilità che sarebbe forse stata utile in futuro, così il corsivo inglese, numeri romani collocati in un repertorio preciso, linguistico, in quel modo che comunicava un senso leggero di intimità casalinga.
Le lettere, le frasi che Elisabetta Mazzotti delinea, parlano una lingua molto sottile, anche personale e affettiva, visto che anche la madre vi si dedicava. I colori dei fondi si caricano di strutture organizzate che raccolgono, proteggono, significano, comunicano una fede conclamata nel rapporto tra arte e vita, fra emozioni, tessuti dell’essere, allusioni personali e tutto ciò che usiamo chiamare cultura, cioè tutto ciò che ci è stato dato e i modi in cui l’abbiamo vissuto.
Che cosa ha fatto l’artista del complesso repertorio di caratteri che compongono i suoi lavori? Ciò che appare dopo un po’ dalla visione della mostra è un discorso unico, anche se apparentemente frammentato in frasi di autori vari, da Cocteau a Bufalino, da Nietzsche a Warhol, per esempio.
Si stabilisce una sorta di consanguineità tra parola e segno, tra tatuaggio e ricamo, tra significato e colore. Al colore dominante di ciascun’opera corrisponde il senso che l’artista vuol dare a quella frase, o a quell’altra. Meglio, la valorizzazione ulteriore di un senso già espresso dalla frase stessa.
Vi è, cioè, un grande equilibrio compositivo.

Vittoria Coen




Language is a virus
di Bruno Bandini e Marcello Landi

«La sincerità è un’espansione di cuore. La si trova in pochi; e quella che si vede di solito non è che una fine dissimulazione, per attirare le confidenze degli altri»
Francois de La Rochefoucault, Riflessioni morali.

Dunque, è bene prestare molta attenzione a quella forma ambigua di “sincerità” che si cela dietro al compiaciuto elogio e dietro alla colpevole attestazione di stima che le parole possono procurare. In altri termini: è bene diffidare della critica, e della critica d’arte in modo particolare.
Così come è bene prestare molta attenzione a quella disciplina magnificamente barocca che si dispiega negli aforismi. Gli aforismi sono volutamente imperfetti, per quanto capaci di riassumere, di sintetizzare un’intera esperienza, la complessità dei comportamenti, e, soprattutto, la mobilità dei moti dell’anima.
Elisabetta Mazzotti, con le sue pitture “barocche” – quasi a voler punire la nostra presunzione di comprendere il senso compiuto delle parole sfavillanti “tatuate” sulla tela – ci introduce in modo ambivalente nell’universo incerto dell’aforisma. Infatti la scelta dei caratteri con i quali rendere evidente il “motto” non è dettata dal confronto con la grande disputa sulla leggibilità delle parole, tra caratteri graziati e caratteri sans-serif, tra derivazioni calligrafiche o impostazioni razionaliste. E’ invece il frutto di una ricerca tra le “cifre” che un tempo erano in uso per il ricamo, per la decorazione di corredi, per quelle discipline intime e tenere che oggi paiono cadute in disuso.
Allora la superficie dell’opera – e la sua “lettura” – risulta molto più complessa del previsto. Come dire: l’aforisma avviene con lentezza. Richiede uno sforzo visivo, una forma di attenzione che, al di là dello splendore del visibile, della superficie dell’immagine, lasci emergere il disegno, il progetto della serie che Elisabetta Mazzotti dispone.
Comunque sia, il programma che sostiene la serie di immagini “tipografiche” sollecita due considerazioni. La prima: la possibilità di indagare analiticamente l’universo della visività è sottratta ad ogni casualità e rinvia in modo radicale ad un processo che si impone alla forza ordinatrice – gestaltica – dell’occhio che osserva. Se ogni sensazione si dà in una forma, altrettanto avviene per le indicazioni di senso contenute nell’aforisma. Ma questa operazione spalanca una serie di spaesamenti e di inquietudini relativi proprio alla consistenza ed alla durevolezza del senso che all’immagine si può attribuire. Come se il soggetto scomparisse, si inabissasse, diventando sempre più fluttuante ed incerto, poiché il senso rischia di apparire sempre caduco... come lo sono i colori, per quanto sfavillanti, che lo sorreggono.
La seconda, se possibile, più drammatica: se l’immagine si distoglie da ogni ansia espressiva che non sia quella consegnata nel linguaggio, allora è opportuno chiedersi che cosa non sia più consumabile, che cosa sia effettivamente irrevocabile. Si tratta cioè di cogliere nel suo irriducibile persistere “ciò che ci concerne”, un’icone, una misura che resiste.
Ciò che resiste, per Elisabetta Mazzotti, sono le stazioni nelle quali si articola la serie di “quadri”: amore, coraggio, libertà ed arte.

In quanto ogni scrittura dedicata al lavoro di un artista rischia – come si diceva in apertura – di consumarsi nella dissimulazione (per quanto onesta), ci permettiamo di concludere con una citazione cinematografica:
«La verità, come l’arte, è nell’occhio di chi guarda. Tu credi a quello che vuoi, io credo a quello che so»
(Lo dice l ’omicida – per legittima difesa? – Kevin Spacey all’attonito giornalista – complice? – John Cusak in Mezzanotte nel giardino del bene e del male di Clint Eastwood).

Bruno Bandini
Marcello Landi



[ 2009© Copyright: Betta Mazzotti - Tutti i diritti riservati ]
Questo sito web contiene materiale protetto da copyright e/o soggetto a proprietà riservata.